3. Le vie dello smalto nell'antichità

Per il periodo fra i secoli XI e VII a.C., non vi sono al momento ritrovamenti archeologici rilevanti e la smaltatura sembrerebbe essersi estinta. Dobbiamo attendere il VII secolo a.C. per assistere ad un’improvvisa ricomparsa della tecnica in diverse parti del Vecchio Mondo, sotto forma di piccoli dettagli smaltati su filigrana in oro.

Il motivo di questa rinascita dello smalto non è noto, ma possiamo formulare un’ipotesi: un ruolo chiave potrebbe averlo svolto l’Impero Assiro, che raggiunse la sua massima espansione proprio nel VII secolo. Anche per la Mesopotamia, come per l’Egitto, le prove che le tracce di vetro colorato sui gioielli di questo periodo fossero vero e proprio smalto non sono sufficientemente solide, ma ci sono diversi elementi a favore di un uso decorativo della smaltatura presso gli Assiri. A tal proposito, così scrive l’archeologo e storico Roger Moorey: "L'intera questione è stata riaperta in seguito ai ritrovamenti nelle tombe reali di Nimrud nel 1988-1989, che includono elaborati braccialetti d'oro decorati con lavori policromi cloisonné. Anche se alcune parti sono chiaramente tempestate di pietre semi-preziose, alcune parti potrebbero essere composte da vero smalto" (fonte: P.R.S. Moorey, Ancient Mesopotamian Materials and Industries: The Archaeological Evidence, Oxford: Clarendon Press, 1994). È importante notare che gli Assiri padroneggiavano alcune tecniche affini alla smaltatura, in particolare l’uso delle paste vitree su metallo e dello smalto su ceramica, che richiedevano tecnologie identiche a quelle per la smaltatura a fuoco su metalli.

Tra le prove indirette possiamo notare che, durante il regno di Assurbanipal (668-627 a.C.), l’Assiria controllava territori in cui la smaltatura era già esistita (Cipro e, forse, l’Egitto, vedi sopra) o che l’avrebbero praticata nei secoli successivi. Il re Assurbanipal è noto agli storici come il più grande macinate dell’arte e della letteratura dell’epoca e ciò, combinato con l’uso assiro di deportare e mescolare le popolazioni conquistate, deve aver favorito anche la diffusione dello smalto entro e oltre i confini dell’Impero.

Probabilmente vi furono due diverse vie di diffusione dello smalto: 

- Una via orientale, di cui furono responsabili gli Sciti, un antico popolo guerriero iranico, portò la smaltatura lungo due diversi vettori: uno asiatico, lungo la via della seta, di cui sono testimonianza i ritrovamenti di Ziwiye in Azerbaigian (fonti: A. H. Dietzel, Emaillierung, Springer-Verlag, 1981; R. A. Higgins, Greek and Roman Jewellery, University of California Press, 1980) e di Arzhan in Siberia, sul confine con la Mongolia (fonte: B. Armbruster, Gold technology of the Ancient Scythians - gold from the kurgan Arzhan 2, Tuva), entrambi datati al VII secolo, in cui lo smalto bianco è usato per alcune finiture; e un secondo vettore più tardivo verso il Caucaso, testimoniato dal tesoro di Kul’Oba in Crimea (IV secolo a.C.).

Dettaglio da un gioiello scita del IV secolo a.C., tesoro di Kul'Oba (Crimea).

- Una via occidentale, invece, fu forse favorita dai Fenici. Durante il regno di Assurbanipal, in cui fu sottomessa temporaneamente al potere assiro, la capitale fenicia Tiro (oggi in Libano) controllava un ampio impero di colonie minerarie che includeva, tra l’altro, Cartagine (Tunisia), Tharros (Sardegna) e, soprattutto, le città di Tartesso e Cadice in Andalusia (Spagna). Proprio in queste città spagnole si segnalano i ritrovamenti di gioielli in oro con piccole finiture a smalto, come il collare del Tesoro di El Carambolo, datato tra l’VIII e il VI secolo a.C., e il collare di Gadir del VI-V secolo a.C. (fonte: Núria López-Ribalta - Eva Pascual i Miró, La smaltatura a fuoco dei metalli, 2011), non troppo dissimili ai ritrovamenti assiri e sciti dello stesso periodo.

Fu probabilmente grazie a questi commerci nel Mediterraneo che, tra il VII e il IV secolo a.C., lo smalto raggiunse anche l’Etruria e la Magna Grecia (fonte: Valérie Gonzalez, Gli smalti dell’Europa musulmana e del Maghreb). L’esecuzione in questi casi è di una tale accuratezza da far pensare a una pratica ben conosciuta. In particolare, in Etruria sono stati ritrovati alcuni gioielli smaltati in oro: uno di essi, risalente al VI secolo a.C., è oggi custodito al Metropolitan Museum, mentre un altro paio di orecchini, decorati con dei cigni e datati al III secolo a.C., fanno parte della Collezione Campana del Louvre di Parigi. 

Orecchino etrusco, oro e smalto cloisonné, VI secolo a.C.

Orecchini greci, oro e smalto cloisonné, isola di Milos, II secolo a.C.

Un caso a parte è rappresentato dai Celti che, dal V secolo a.C. (epoca La Tène), smaltavano oggetti di vario genere, in bronzo, con un colore rosso vivo, mentre, sulle isole Britanniche celtiche lo smalto si sviluppò verso il III secolo a.C.: in questo caso la tecnica, del tutto originale, è quello dello champlevé su incavi in fusione su bronzo. Questa tecnica continuerà ad essere praticata per diversi secoli. Il mistero relativo alle origini dei Celti ci impedisce di formulare una teoria sull’origine della loro tecnica, anche se l’ipotesi di una patria caucasica potrebbe legare lo smalto celtico a quello degli Sciti e alla via orientale (Per approfondire, vedasi l'articolo "I Celti: sconosciuti maestri della smaltatura antica e dominatori dell’Europa")

​A sinistra: Scudo di Battersea, bronzo sbalzato con smalti champlevé , II-I secolo a.C. A destra: Dettaglio degli smalti rossi opachi.

Un territorio particolarmente fertile nella produzione di gioielli smaltati è la Nubia, attuale Sudan; a parte alcuni frammenti di metallo smaltato datati al 600 a.C. di dubbia origine egizia o mediterranea, è soprattutto durante il periodo meroitico (270 a.C. – 50 d.C.) che la smaltatura prese piede, quando gli artigiani locali sperimentarono con lo champlevé e con i primi tentativi di smalti traslucidi (fonte: Y.J. Markowitz, D. Doxey, Jewels of Ancient Nubia, Museum of Fine Arts, Boston, 2014). Notevole esempio è il braccialetto di Hathor ritrovato negli scavi della piramide 8 di Gebel Barkal e datato al periodo fra il 250 e il 100 a.C.; i suoi smalti contengono dei blu intensi ottenuti con ossido di cobalto (sotto forma di "smaltino"), i viola sono a base di manganese e rame, i verdi erano ottenuti con manganese, rame e ferro. Purtroppo, gli smalti sono un po' consumati ma colpiscono per il fatto stesso di essere traslucidi, una vera novità per gli Antichi. La più grande raccolta di monili in oro smaltato risalente alla Nubia del I secolo a.C. è il “Tesoro della Regina Amanishaketo" (35-20 a.C.). 

Diadema della regina Amanishakheto, II secolo a.C.

Fra il I secolo a.C. e il II secolo d.C., i Romani si servono della smaltatura soprattutto per la decorazione di pugnali e foderi in dotazione presso l’esercito romano: è proprio a Roma, sotto Ottaviano Augusto, che fiorisce la produzione del vetro millefiori. I Romani con l’espansione del loro impero portarono ovunque oggetti smaltati di varia provenienza, come fibule o fermagli. Si vennero a formare le tecniche “gallo-romane”, in gran parte champlevé su bronzo con una tecnica un po’ più grossolana, che si potrebbe definire imbarbarita. I più antichi esempi di smaltatura in Germania consistono in ritrovamenti sul Reno e risalgono ai tempi della dinastia flaviana (dal 69 al 96 d.C.). Descrivendo una battuta di caccia celtica, e in particolare le decorazioni dei finimenti dei loro cavalli, il greco Filostrato di Lemno, (240 d.C.), scrive che i barbari del nord stanziati in prossimità dell’oceano stendono colori sul bronzo incandescente, usando cioè la tecnica Champlevé (Eikones, 1.28). Barbari e Romani ebbero un ruolo importante nella divulgazione della smaltatura su bronzo. Nel IV secolo gli Unni, originari delle lontane steppe dell’est, con la loro calata scacciarono i Germani e i Goti e introdussero nuovamente la smaltatura “cloisonné” barbaro-romana. 

Fibula romana, bronzo e smalti champlevé, I secolo d.C., Museo ArTchivio.

I ritrovamenti in Britannia durante il periodo dell’occupazione romana dimostrano che, prima dell’arrivo della smaltatura, gli artigiani britannici decoravano i loro oggetti in bronzo con inserti in corallo rosso, che col tempo furono sostituiti da vetro opaco rosso. Sembra, d’altronde, che il rosso rivestisse un ruolo molto importante, come si è visto, anche nelle culture barbariche e celtiche. Tra la fine del I e l’inizio del II secolo dopo Cristo, è possibile ritrovare numerosi oggetti di piccole dimensioni, decorati inizialmente solo con smalto rosso e poi anche smalti di diversi colori, in particolare giallo, blu, verde, nero e bianco. Fra gli oggetti più diffusi in queste produzioni, si riscontrano soprattutto spille, bottoni e bardature per cavalli con piccole decorazioni a smalto su bronzo. Al momento non è possibile affermare con sicurezza che si possa parlare di una vera e propria produzione locale, anche se ciò appare assai probabile in diversi siti manifatturieri della Britannia, tra cui Traprain Law (Scozia), Dinas Powys (Galles) e Colchester (Inghilterra). Ciò che appare evidente è l’utilizzo di materie prime identiche a quelle impiegate in Europa continentale (fonte: Frances McIntosh, A Study into Romano-British enamelling with a particular focus on brooches, 2009). Oltre ad oggetti di piccole dimensioni, non mancano casi più rari di stoviglie in bronzo o lega di rame, con un tipico design di tipo celtico, ad esempio la "Trulla di Ilam" del II secolo d.C., ritrovata lungo il Vallo di Adriano.

"Trulla di Ilam", ritrovato nel distretto di Staffordshire Moorlands (Inghilterra), padella con smalti champlevé su bronzo in fusione, II secolo d.C., stile celtico.